Venerdì, 14 luglio

Oro nell’arte: l’emozione millenaria della doratura

L’arte è un modo per maneggiare e manipolare la luce. I colori, puro effetto di luce, durante il Medioevo acquistarono potere simbolico oltreché spirituale. Si pensava, addirittura, che la luce filtrata dalle vetrate colorate delle basiliche potesse avere poteri curativi.

È naturale dunque che oro, gemme e colori dai toni vivaci utilizzati senza sfumatura conferissero al dipinto un “potere religioso”: il loro utilizzo rappresentava la presenza stessa di Dio.
La scelta dei pigmenti era quindi molto importante.

L’unico colore che nessuno era ed è in grado di riprodurre è ovviamente quello più ricercato e più desiderato: l’oro. Le lamine d’oro utilizzate dagli artisti venivano applicate sulle tavole che all’interno della Chiese ospitavano Santi e personaggi biblici. Questa distesa d’oro illuminata, nella penombra delle navate, dai raggi penetrati dalle finestre accentuava quell’aurea di sacralità che la Chiesa richiedeva alle sue opere.

Per riuscire ad ottenere le lamine dello spessore adatto alle esigenze degli artisti dell’epoca gli artigiani martellavano le monete d’oro fino ad ottenere vere e proprie “foglie” sottili come un velo.

La lavorazione per ottenere la foglia d’oro, chiamata «battiloro», consisteva nel sovrapporre strati d’oro a strati di pergamena che venivano battuti da un maglio adattandoli manualmente alle superfici da rivestire. Ovviamente, rispetto a quanto si può realizzare ai giorni nostri, lo spessore dei fogli d’oro lavorati in questo modo era molto più consistente anche se la tecnica nell’insieme risulta molto simile

Tecniche di doratura dai tempi antichi ad oggi

Le tecniche di doratura sin dall’antichità si sono basate principalmente su quella che è una delle caratteristiche principali dell’oro: la malleabilità (da «malleum», il martello), la capacità cioè di essere ridotto in lamine sottili.

La tecnica di doratura a foglia d’oro era presente già in epoche antichissime, gli antichi egizi, i romani ed i greci ne facevano infatti grande uso.

Dopo l’anno mille si sono utilizzate due tipi di dorature:

  • «doratura a lamina»: la lamina dorata appoggiata ad un supporto ligneo ed ancorata con chiodi o resina.
  • «doratura a foglia oro»: applicazioni di fogli d’oro battuti a mano e resi solidali al supporto con colle.

Le foglie d’oro (utilizzate anche per i manoscritti) venivano trattate con succhi, albume, gomma e miele, che le rendevano perfettamente adeso ad ogni superficie, ma opacizzavano l’oro stesso. Per ottenere la lucentezza giusta la tavola veniva strofinata con un oggetto duro o, come riportano i testi antichi, con un dente d’orso.

Successivamente all’anno mille la tecnica della doratura si perse, comparendo nuovamente nel Basso Medioevo dove tutti gli artisti iniziarono ad inserire nella propria produzione i cosiddetti «fondi oro», dipinti su tavola eseguiti a tempera con il fondo dorato a oro zecchino.

In questo periodo un artigiano orafo benedettino di nome Teofilo divulgò, tra le altre cose, un metodo per la doratura che consisteva nella preparazione a gesso e colla animale (di coniglio o di cervo) il supporto ligneo con successiva applicazione delle foglie d’oro senza la preparazione a bolo sfruttando la colla presente nel gesso.
Di questo tipo di tecnica, utilizzata molto spesso sulle croci, ci restano purtroppo pochissimi esempi.
In epoca Bizantina si cominciò a stendere la foglia d’oro su un colore ocra sotto uno strato di terra verde (tecnica amata anche da Giotto).

Per avere consistenti novità nei sistemi di doratura si deve aspettare l’avvento del ricco Rinascimento nelle Botteghe Fiorentine.
La tecnica di doratura “alla fiorentina” consisteva nella stesura, sopra la prima mano di gesso, di diversi strati di bolo.
Il bolo era formato da argilla, prodotto che si trova e si utilizza anche ai nostri giorni, la cui migliore qualità era quella proveniente dall’Armenia (da qui nome di «bolo armeno»), nei colori rosso, nero, giallo.

Due erano le tecniche della doratura a foglia oro: la «doratura a guazzo» e la «doratura a mordente»:

Doratura a guazzo

Uno dei primi esempi di doratura a guazzo si trova in una tavola del XII° secolo in santa Maria Maggiore a Firenze e utilizzata anche oggi

  1. 7-8 strati di gesso di Bologna con colla animale (cervo, coniglio o pesce)
  2. albume d’uovo, montato a neve, unito poi all’acqua ed all’argilla (bolo) macinata e così stendibile con il pennello. Si inizia con una prima mano diluita per impregnare il gesso fino ad arrivare a 7/8 stesure.
  3. l’applicazione dei fogli d’oro avviene attivando il bolo bagnandolo a porzioni con un umettante a base d’acqua.
  4. si lucida o brunisce l’oro con la pietra d’agata.

Doratura a mordente

La preparazione del gesso per questo tipo di doratura era ed è uguale a quella a guazzo, ma l’applicazione della foglia d’oro avviene direttamente sulla stesura del mordente colorato.
Nel secolo XIV i mordenti venivano preparati con aglio mescolato con olio siccativo a caldo poi addizionato con biacca e si colorava con bolo in polvere.
Questa tecnica era utilizzata soprattutto per eseguire le scritte in ambienti esterni (cimiteri, cappelle, monumenti), per le scritte nelle predelle dei dipinti trecenteschi, per le stelle nei cieli delle cupole decorate ad affresco.
La tecnica a mordente diventa la più popolare ed usata in Europa portando la doratura su superfici sempre più estese (facciate e monumenti) promuovendo il concetto di ricchezza in senso sociale e non solo più in senso artistico/architettonico.

Si può dire che le tecniche di doratura siano cambiate poco nel corso dei secoli; sicuramente è cambiata la composizione dei materiali, non più raffinata come un tempo, ma l’esecuzione manuale è rimasta sostanzialmente invariata ed è questo che rende particolarmente affascinante questa materia.

(Loredana Plazzoli, restauratrice)

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