Il vello d'oro: una storia avventurosa e un fondo di verità inaspettato

Nell mitologia greca quasi sempre alla base di un racconto troviamo una rivalità tra le divinità e anche questo non fa eccezione. L’oro poi, come sempre, smuove le montagne ed è alla base di eroiche gesta, scoperte, rivalità e amori.
Il mito del vello d’oro
Il Vello d'oro noto anche come Tosone o Toson d’Oro è il manto dorato di Crisomallo, un ariete alato il cui vello si dice avesse il potere di curare ogni ferita.
Il dio Ermes donò Crisomallo a Nefele, moglie ripudiata da Atamante innamorato di Ino, e madre di Elle e Frisso. Ino odiava i due figliastri e voleva sacrificarli per permettere a suo figlio di salire al trono alla morte di Atamante. Venuta a conoscenza dei piani di Ino, Nefele chiese aiuto ad Ermes che le inviò Crisomallo, il quale caricò in groppa i due fratelli e li trasportò, volando, nella Colchide, regione dell’attuale Georgia occidentale. Elle precipitò in mare durante il volo e morì. Quel luogo prese da allora il suo nome: Ellesponto. Frisso, giunto sano e salvo, sacrificò l’ariete a Zeus e donò il vello al re Eete presso il quale aveva trovato rifugio, che lo appese ad un albero nella foresta e mise un drago a guardia del vello.
A questo punto entrano in scena i più conosciuti Argonauti. Giasone, per riconquistare il trono usurpato dallo zio, avrebbe dovuto ritrovare il vello; radunò allora 50 compagni e sulla nave Argo (da qui il loro nome) partirono per la Colchide. Naturalmente l’eroe dovette superare varie prove per poter portare a compimento la sua impresa e vi riuscì grazie all’aiuto della maga Medea, figlia del re Eeta, che si era innamorata di lui.
È Apollonio Rodio che, nel III sec. a.C., ne Le Argonautiche, racconta la storia di Giasone, mentre è Euripide l’autore della tragedia che, nel 431 a.C., mette in scena l’affascinante e terribile figura di Medea.
La realtà dietro il mito del Vello d’oro
Come in tutti i miti e le leggende c’è sempre un fondo di verità, anche il racconto del vello d’oro ci narra di un’usanza antica.
Intanto dov’è situata la Colchide? Per i Greci, come si può leggere nel Fedone di Platone, il mondo conosciuto era compreso tra le Colonne d’Ercole e, appunto, la Colchide, regione tra il Mar Nero ed il Caucaso, corrispondente in pratica alla parte occidentale dell’odierna Georgia (mentre la parte orientale era detta Iberia).
Probabilmente l’estrazione dell’oro in Georgia era già in essere nel IV millennio a.C. e il fatto era tanto conosciuto che Strabone può scrivere (Geografia I 2,39): «la ricchezza della regione della Colchide, che deriva dalle miniere d’oro, d’argento, di rame e di ferro, suggerisce un motivo ragionevole per la spedizione di Giasone».
Invece lo storico Appiano riporta, nel II secolo d.C., la notizia di alcuni ruscelli della Colchide «ricchi di polvere d’oro, che gli abitanti raccoglievano attraverso le pelli di pecora, messe a bagno in modo da setacciare le particelle anche più sottili della polvere aurea. Forse il vello d’oro del mitologico re Eeta era di questo genere» (Guerre mitridatiche 103).
Dunque, alla base del racconto mitologico potrebbe esserci questa particolare modalità di ricerca dell’oro da parte delle popolazioni locali.
Inoltre che questa regione fu abitata nel VII sec. a.C. dal popolo degli Sciti. Il racconto delle loro origini parte proprio dal giorno in cui, dal cielo, discesero tre oggetti d'oro: un'ascia bipenne, un aratro con giogo e una coppa. L'oro veniva perciò considerato il tramite tra la dimensione umana e quella divina, elemento fondativo della loro società. Secondo Erodoto, gli Sciti credevano che l'oro venisse custodito dai grifoni, che vivevano nel profondo nord.
Essi seppellivano insieme ai loro morti un'enorme quantità di gioielli d'oro, spesso lavorati con la tecnica della granulazione e della filigrana di cui erano maestri, e questo ha fatto si che giungessero fino a noi splendidi reperti, tra i più belli dell’intera antichità.
Curiosità: collegato al mito del vello d’oro è il Toson d’Oro. Si tratta di un ordine cavalleresco, istituito il 10 gennaio 1430 da Filippo III di Borgogna per celebrare il suo matrimonio con la principessa portoghese Isabella d'Aviz. Il collare presenta nella sua parte inferiore la figura di una pelle d’ariete (il "tosone", dal francese toison, propriamente il vello tosato).